Troppa voglia di premere il grilletto
Alle 7 del mattino del 10 gennaio 2017 la piccola Pu Lof en Resistencia viene svegliata dal brusco arrivo della Gendarmeria nazionale e della Polizia provinciale del Chubut. Nel giro di pochissimi istanti circa duecento agenti urlanti e arrabbiati, inviati in questo lembo meridionale di Argentina dal Giudice federale di Esquel, Guido Otranto, riescono ad impedire l’accesso a tutte le strade che conducono alla Lof con l’intento di ripristinare la circolazione del Viejo Expreso Patagónico, bloccata settimane prima da alcuni componenti della comunità. Le due forze di sicurezza si presentano nel dipartimento di Cushamen in assetto antisommossa e con, schierati, una massiccia parata di mezzi: ventuno auto, due pullman, un camion idrante, un camion merci, un elicottero, e poi cavalli, furgoni e camioncini⁹⁴. Non mancano gas lacrimogeni, mazze e armi con, in canna, parecchi proiettili di gomma e di piombo.
I pochi uomini della comunità presenti in quel momento fanno di tutto per far arretrare gli agenti, provano anche a scagliare contro di loro delle pietre, mentre le donne e i bambini, terrorizzati dal gran numero di armamenti spianati⁹⁵ corrono a rifugiarsi nella vivienda comunitaria; poi, quando arriva il momento di abbandonare il campo, le guardie portano via, in manette, anche tre Mapuche, rimasti lievemente feriti durante le colluttazioni, e un paio di cavalli utilizzati dalla comunità nei lavori rurali e nel corso delle cerimonie tradizionali.
La detenzione dei tre, precisa il Tribunale federale in un comunicato diffuso immediatamente dopo l’operativo, si è resa necessaria poiché “si erano opposti violentemente
alla realizzazione della perquisizione”. D’altro canto, come biasimarli? Forse nei loro occhi ci sono ancora le immagini barbare, le grida, la ferocia di quando, otto mesi prima, un centinaio di gendarmi e di poliziotti del Geop⁹⁶ aveva tentato di sgomberare la Lof. Era la notte del 27 maggio 2016. Le forze di sicurezza avevano presidiato l’ingresso al territorio recuperato, fatto uscire con la forza le persone dai loro alloggi, in qualche caso perfino trascinandole per i capelli, e arrestato otto persone - tra cui Facundo Jones Huala, grazie ad un rapporto dell’Intelligence - con l’accusa di abigeato. Negli spazi del territorio recuperato gli agenti delle forze speciali argentine avevano ritrovato – da quanto riferito - i resti macellati di diciassette pecore provenienti dalla estancia Leleque e un’arma da fuoco: per queste “evidenze” il processo si era svolto per direttissima al Tribunale di Esquel. Inoltre, poiché la zona della Pu Lof en Resistencia era stata cordonata con l’intenzione di conservare l’integrità delle presunte prove, le donne e i bambini erano stati costretti a trascorrere all’addiaccio la lunga notte. Come se non bastasse, un mese dopo, il 29 giugno, il copione si era in parte ripetuto con l’arrivo, alle 9 del mattino, delle forze federali a bordo di un gran numero di auto e con tanta voglia di premere il grilletto per intimidire un po’ i Mapuche. Ed infatti, in quell’occasione, alcune persone erano rimaste ferite.
Il giorno seguente la comunità en Resistencia aveva diffuso un comunicato in cui denunciava, tra le altre cose, che “una volta di più le forze repressive dello Stato, insieme ai poteri giudiziario e politico si sono messi al servizio della Compañía de Tierras Sud Argentino, muovendosi come sua forza di sicurezza privata e come garanti della storica usurpazione che sta soffrendo il nostro pueblo Mapuche, condannando alla miseria, alla povertà tutte le comunità che si oppongono alla impresa transnazionale di Luciano Benetton e dei grandi estancieros e terratenientes i quali hanno fatto la propria fortuna sfruttando i lavoratori, gli agricoltori e i lavoratori giornalieri senza permettere loro di rivendicare i propri diritti, senza permettere loro di riunirsi in sindacati o chiedere aumenti salariali, costringendoli a farsi portavoce degli interessi dei loro datori di lavoro sotto la minaccia del licenziamento, questi lavoratori fanno parte delle nostre famiglie e del nostro Popolo Nazione. Sono tutti questi winkas usurpatori che con il loro potere economico sono padroni della stampa, dei pueblos e delle città, e creano una rete di famiglie di winkas ricchi, che muovono le mani nel potere giudiziario e politico e usano come propri burattini intendenti, consiglieri, giudici e pubblici ministeri, e la polizia provinciale e federale, e la gendarmeria, come loro sicurezza privata”.
Quattro mesi dopo essere finito in carcere, Facundo Jones Huala viene rimesso in libertà: il giudice Guido Otranto – che per questa decisione aveva rischiato una azione penale - dichiara nullo il processo di estradizione poiché le prove che ne hanno permesso la cattura sono state ottenute a seguito della tortura di un testimone. Nel settembre 2018 viene comunque estradato in Cile e condannato a nove anni di carcere.
Torniamo però al 2017 e a ciò che è avvenuto la sera dell’11 gennaio.
È buio quando la Polizia del Chubut, armata e bardata con caschi e scudi d’ordinanza fa nuovamente irruzione nel territorio dei Mapuche - stavolta senza disposizione del giudice –, e sparano e feriscono diverse persone, qualcuna anche in modo grave come Fausto Jones Huala, fratello di Facundo, ed Emilio Jones Huala. Il primo riporta una serie di ferite al cranio, il secondo la distruzione della mandibola, trapassata dai proiettili di gomma sparati a distanza ravvicinata dalla Polizia.
“Continua la repressione a Cushamen. Un ferito con proiettile di piombo. Non liberano i Mapuche detenuti. Terrore nel Chubut”, é la denuncia lanciata praticamente in tempo reale su Twitter dal giornalista Tomas Eliaschev, che in un altro cinguettìo segnala che “I commissariati di Esquel ed El Maitén non hanno voluto inviare un’ambulanza per assistere il Mapuche ferito da un proiettile al collo”. I componenti della comunità, sconvolti dai due giorni di violenze accusano, in un comunicato, l’allora governatore della provincia del Chubut, Mario Das Neves, e Juan Luis Ale, commissario della locale Polizia, per tutte le retate e i tentativi di sgombero illegale sofferti fin dall’inizio di questo processo di recupero territoriale. Per i nativi, Das Neves e Ale “sono stati supportati da una grande campagna mediatica con la chiara intenzione di stigmatizzare la degna lotta del Pueblo Nacion Mapuche, avallando una escalation di violenza contro le comunità confluite nella Pu Lof en Resistencia”.Nelle ore in cui la Gendarmeria è rimasta nello spazio della Lof, hanno continuato nel loro j’accuse, “non è esistito alcun tipo di diritto umano, sia per gli uomini, sia per le donne e i bambini, sottoposti a trattamenti razzisti e degradanti, arrivando a colpire in testa con un manganello un bambino di sei anni e ad ammanettare e trascinare una ragazzina di undici, minacciandoli”.
In tutti i casi la stampa contigua con il potere non accenna a fare un passo indietro, e continua anzi a pubblicare articoli in cui la Pu Lof en Resistencia viene descritta come un gruppo di persone appartenenti alla Resistencia Ancestral Mapuche, a sua volta strumentalmente definita “organizzazione terrorista” (ecco ritornare il concetto dell’indio malonero) che rappresenta, di conseguenza, una “minaccia per la sicurezza sociale”.
È un logoro refrain cominciato con l’occupazione, nel marzo 2015(97), delle terre che Benetton ha comprato dal Governo, e continuato e amplificato con la successiva richiesta da parte del pubblico ministero Fernando Luis Rivarola di applicare nei loro confronti la Ley Antiterrorista poiché “l’azione del gruppo indicato riguarda direttamente gli interessi della Nazione, fino al punto di mettere a rischio la sicurezza interna”. Ma se a quel tempo buona parte degli argentini non aveva dato molto peso ai reclami ancestrali e, parallelamente, all’intensificarsi della repressione di Stato, con i fatti accaduti al principio del 2017 lo sdegno e la preoccupazione hanno coinvolto buona parte della società civile, spingendo diverse associazioni per i diritti umani come la Correpi di Maria Del Carmen Verdù⁹⁸ il Centro di Studi Legali e Sociali (CELS), il Centro per la Giustizia e il Diritto internazionale (CEJIL) ma anche organizzazioni non governative come l’ Osservatorio per i Diritti umani dei Popoli Indigeni, Amnesty, Fian International a riferire il tutto agli organismi competenti. Anche la Commissione Interamericana dei Diritti Umani ad un certo punto ha ritenuto di doversi attivare, sollecitando formalmente lo Stato argentino ad ottenere al più presto informazioni utili in merito agli allarmanti abusi.
Dopo pochi mesi di “tregua”, il 31 luglio 2017 una nuova repressione si abbatte sulla comunità: stavolta non nel suolo recuperato ma all’esterno del Tribunale Federale di Bariloche dove diversi membri della Pu Lof en Resistencia, insieme anche con semplici cittadini, alcuni attivisti per i diritti umani e referenti di associazioni politiche si sono dati appuntamento per richiedere il rilascio dei companeros finiti in carcere il 27 maggio 2016. In nove vengono arrestati. Tuttavia il giorno peggiore, quello che a Cushamen non dimenticheranno più, deve ancora arrivare.
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Alle 7 del mattino del 10 gennaio 2017 la piccola Pu Lof en Resistencia viene svegliata dal brusco arrivo della Gendarmeria nazionale e della Polizia provinciale del Chubut. Nel giro di pochissimi istanti circa duecento agenti urlanti e arrabbiati, inviati in questo lembo meridionale di Argentina dal Giudice federale di Esquel, Guido Otranto, riescono ad impedire l’accesso a tutte le strade che conducono alla Lof con l’intento di ripristinare la circolazione del Viejo Expreso Patagónico, bloccata settimane prima da alcuni componenti della comunità. Le due forze di sicurezza si presentano nel dipartimento di Cushamen in assetto antisommossa e con, schierati, una massiccia parata di mezzi: ventuno auto, due pullman, un camion idrante, un camion merci, un elicottero, e poi cavalli, furgoni e camioncini⁹⁴. Non mancano gas lacrimogeni, mazze e armi con, in canna, parecchi proiettili di gomma e di piombo.
I pochi uomini della comunità presenti in quel momento fanno di tutto per far arretrare gli agenti, provano anche a scagliare contro di loro delle pietre, mentre le donne e i bambini, terrorizzati dal gran numero di armamenti spianati⁹⁵ corrono a rifugiarsi nella vivienda comunitaria; poi, quando arriva il momento di abbandonare il campo, le guardie portano via, in manette, anche tre Mapuche, rimasti lievemente feriti durante le colluttazioni, e un paio di cavalli utilizzati dalla comunità nei lavori rurali e nel corso delle cerimonie tradizionali.
La detenzione dei tre, precisa il Tribunale federale in un comunicato diffuso immediatamente dopo l’operativo, si è resa necessaria poiché “si erano opposti violentemente
alla realizzazione della perquisizione”. D’altro canto, come biasimarli? Forse nei loro occhi ci sono ancora le immagini barbare, le grida, la ferocia di quando, otto mesi prima, un centinaio di gendarmi e di poliziotti del Geop⁹⁶ aveva tentato di sgomberare la Lof. Era la notte del 27 maggio 2016. Le forze di sicurezza avevano presidiato l’ingresso al territorio recuperato, fatto uscire con la forza le persone dai loro alloggi, in qualche caso perfino trascinandole per i capelli, e arrestato otto persone - tra cui Facundo Jones Huala, grazie ad un rapporto dell’Intelligence - con l’accusa di abigeato. Negli spazi del territorio recuperato gli agenti delle forze speciali argentine avevano ritrovato – da quanto riferito - i resti macellati di diciassette pecore provenienti dalla estancia Leleque e un’arma da fuoco: per queste “evidenze” il processo si era svolto per direttissima al Tribunale di Esquel. Inoltre, poiché la zona della Pu Lof en Resistencia era stata cordonata con l’intenzione di conservare l’integrità delle presunte prove, le donne e i bambini erano stati costretti a trascorrere all’addiaccio la lunga notte. Come se non bastasse, un mese dopo, il 29 giugno, il copione si era in parte ripetuto con l’arrivo, alle 9 del mattino, delle forze federali a bordo di un gran numero di auto e con tanta voglia di premere il grilletto per intimidire un po’ i Mapuche. Ed infatti, in quell’occasione, alcune persone erano rimaste ferite.
Il giorno seguente la comunità en Resistencia aveva diffuso un comunicato in cui denunciava, tra le altre cose, che “una volta di più le forze repressive dello Stato, insieme ai poteri giudiziario e politico si sono messi al servizio della Compañía de Tierras Sud Argentino, muovendosi come sua forza di sicurezza privata e come garanti della storica usurpazione che sta soffrendo il nostro pueblo Mapuche, condannando alla miseria, alla povertà tutte le comunità che si oppongono alla impresa transnazionale di Luciano Benetton e dei grandi estancieros e terratenientes i quali hanno fatto la propria fortuna sfruttando i lavoratori, gli agricoltori e i lavoratori giornalieri senza permettere loro di rivendicare i propri diritti, senza permettere loro di riunirsi in sindacati o chiedere aumenti salariali, costringendoli a farsi portavoce degli interessi dei loro datori di lavoro sotto la minaccia del licenziamento, questi lavoratori fanno parte delle nostre famiglie e del nostro Popolo Nazione. Sono tutti questi winkas usurpatori che con il loro potere economico sono padroni della stampa, dei pueblos e delle città, e creano una rete di famiglie di winkas ricchi, che muovono le mani nel potere giudiziario e politico e usano come propri burattini intendenti, consiglieri, giudici e pubblici ministeri, e la polizia provinciale e federale, e la gendarmeria, come loro sicurezza privata”.
Quattro mesi dopo essere finito in carcere, Facundo Jones Huala viene rimesso in libertà: il giudice Guido Otranto – che per questa decisione aveva rischiato una azione penale - dichiara nullo il processo di estradizione poiché le prove che ne hanno permesso la cattura sono state ottenute a seguito della tortura di un testimone. Nel settembre 2018 viene comunque estradato in Cile e condannato a nove anni di carcere.
Torniamo però al 2017 e a ciò che è avvenuto la sera dell’11 gennaio.
È buio quando la Polizia del Chubut, armata e bardata con caschi e scudi d’ordinanza fa nuovamente irruzione nel territorio dei Mapuche - stavolta senza disposizione del giudice –, e sparano e feriscono diverse persone, qualcuna anche in modo grave come Fausto Jones Huala, fratello di Facundo, ed Emilio Jones Huala. Il primo riporta una serie di ferite al cranio, il secondo la distruzione della mandibola, trapassata dai proiettili di gomma sparati a distanza ravvicinata dalla Polizia.
“Continua la repressione a Cushamen. Un ferito con proiettile di piombo. Non liberano i Mapuche detenuti. Terrore nel Chubut”, é la denuncia lanciata praticamente in tempo reale su Twitter dal giornalista Tomas Eliaschev, che in un altro cinguettìo segnala che “I commissariati di Esquel ed El Maitén non hanno voluto inviare un’ambulanza per assistere il Mapuche ferito da un proiettile al collo”. I componenti della comunità, sconvolti dai due giorni di violenze accusano, in un comunicato, l’allora governatore della provincia del Chubut, Mario Das Neves, e Juan Luis Ale, commissario della locale Polizia, per tutte le retate e i tentativi di sgombero illegale sofferti fin dall’inizio di questo processo di recupero territoriale. Per i nativi, Das Neves e Ale “sono stati supportati da una grande campagna mediatica con la chiara intenzione di stigmatizzare la degna lotta del Pueblo Nacion Mapuche, avallando una escalation di violenza contro le comunità confluite nella Pu Lof en Resistencia”.Nelle ore in cui la Gendarmeria è rimasta nello spazio della Lof, hanno continuato nel loro j’accuse, “non è esistito alcun tipo di diritto umano, sia per gli uomini, sia per le donne e i bambini, sottoposti a trattamenti razzisti e degradanti, arrivando a colpire in testa con un manganello un bambino di sei anni e ad ammanettare e trascinare una ragazzina di undici, minacciandoli”.
In tutti i casi la stampa contigua con il potere non accenna a fare un passo indietro, e continua anzi a pubblicare articoli in cui la Pu Lof en Resistencia viene descritta come un gruppo di persone appartenenti alla Resistencia Ancestral Mapuche, a sua volta strumentalmente definita “organizzazione terrorista” (ecco ritornare il concetto dell’indio malonero) che rappresenta, di conseguenza, una “minaccia per la sicurezza sociale”.
È un logoro refrain cominciato con l’occupazione, nel marzo 2015(97), delle terre che Benetton ha comprato dal Governo, e continuato e amplificato con la successiva richiesta da parte del pubblico ministero Fernando Luis Rivarola di applicare nei loro confronti la Ley Antiterrorista poiché “l’azione del gruppo indicato riguarda direttamente gli interessi della Nazione, fino al punto di mettere a rischio la sicurezza interna”. Ma se a quel tempo buona parte degli argentini non aveva dato molto peso ai reclami ancestrali e, parallelamente, all’intensificarsi della repressione di Stato, con i fatti accaduti al principio del 2017 lo sdegno e la preoccupazione hanno coinvolto buona parte della società civile, spingendo diverse associazioni per i diritti umani come la Correpi di Maria Del Carmen Verdù⁹⁸ il Centro di Studi Legali e Sociali (CELS), il Centro per la Giustizia e il Diritto internazionale (CEJIL) ma anche organizzazioni non governative come l’ Osservatorio per i Diritti umani dei Popoli Indigeni, Amnesty, Fian International a riferire il tutto agli organismi competenti. Anche la Commissione Interamericana dei Diritti Umani ad un certo punto ha ritenuto di doversi attivare, sollecitando formalmente lo Stato argentino ad ottenere al più presto informazioni utili in merito agli allarmanti abusi.
Dopo pochi mesi di “tregua”, il 31 luglio 2017 una nuova repressione si abbatte sulla comunità: stavolta non nel suolo recuperato ma all’esterno del Tribunale Federale di Bariloche dove diversi membri della Pu Lof en Resistencia, insieme anche con semplici cittadini, alcuni attivisti per i diritti umani e referenti di associazioni politiche si sono dati appuntamento per richiedere il rilascio dei companeros finiti in carcere il 27 maggio 2016. In nove vengono arrestati. Tuttavia il giorno peggiore, quello che a Cushamen non dimenticheranno più, deve ancora arrivare.
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