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ALLA FINE DEL MONDO CAPITOLO N° 16

Dalle miniere alle autostrade:
l’altra Argentina di Benetton.

L’intero stato argentino rappresenta una delle più grandi riserve al mondo di idrocarburi non convenzionali – dopo Cina e Stati Uniti - come shale gas (il gas naturale intrappolato in giacimenti rocciosi, tipicamente argillosi), tight sand gas e shale oil ed è potenzialmente in grado, come fa notare Infomercati esteri della Farnesina, di soddisfare la propria domanda insieme a quella, parziale, dei Paesi confinanti. Per questo motivo ormai da moltissimo tempo il paesaggio è deturpato da colossali trivelle e pompe petrolifere, dai pozzi di estrazione, dalle piattaforme e dalle miniere a cielo aperto, dalle gallerie, dalle officine e dal via vai di macchinari delle più importanti imprese estrattive e minerarie internazionali, autorizzate in maniera del tutto arbitraria - senza aver prima consultato le comunità aborigene, come invece prevedono la Costituzione e la Convenzione 169 dell’Organizzazione Internazionale del Lavoro - ad operare dal Governo e dalle istituzioni locali. D’altro canto gli stessi organi dello Stato sono pesantemente interessati allo sfruttamento delle risorse naturali, sia come investitori che come proprietari di società.
Il mancato riconoscimento dei diritti alla sicurezza e alla sopravvivenza delle popolazioni native da parte delle istituzioni argentine si è notevolmente acuito con il Governo di Mauricio Macri, vicinissimo ai capitalisti e alle società transazionali. L’espansione, negli ultimi anni, di queste imprese, è stata particolarmente carica di conseguenze per l’ambiente e per il benessere di chi lo vive. Non ci è voluto molto, infatti, perché le falde si contaminassero, molte comunità rimanessero senz’acqua, le condizioni di salute dell’intera popolazione peggiorassero, i suoli si erodessero, l’aria si inquinasse e i terreni si impoverissero. Nella regione rionegrina di Comahue¹³¹, i pozzi per estrarre il tight gas sono stati costruiti tra i rigogliosi frutteti; nella provincia di San Juan, nel 2015 la Barrick Gold ha sversato in cinque fiumi un milione di litri di cianuro, causando il più grande disastro ambientale della storia argentina. La cancellazione costante ed indiscriminata della biodiversità ha innescato tensioni sociali e culturali di vario tipo i cui incolpevoli attori erano - e sono - i piccoli campesinos e i popoli originari spesso costretti ad abbandonare, tra molte sofferenze, i territori ancestrali ormai devastati.¹³²
Nonostante le proteste, i sit-in, le campagne di sensibilizzazione le contestazioni al Governo da parte delle associazioni di cittadini delle province interessate, attualmente nella regione Patagonica sono attive diverse centinaia di compagnie minerarie e parecchie decine di corporations petrolifere. Tra le più grandi figurano le nordamericane Chevron, che da anni ha in atto un conflitto piuttosto violento con una comunità Mapuche della grande conca di Vaca Muerta¹³³ nella provincia di Neuquén – considerata per la sua abbondanza di idrocarburi la “nuova Arabia Saudita”: attualmente vi operano una ventina di compagnie che possiedono all’incirca trentasei concessioni estese in un’area di 8 mila e 500 chilometri quadrati, tra le quali Exxon Mobil, Halliburton, Americas Petrobras, l’anglo tedesca Shell, la francese Total, Apache Energia Argentina (filiale della multinazionale Us Apache), anch’essa al centro di diatribe con comunità Mapuche di Neuquén e Rio Negro, e poi le cinesi Sinopec e Petrochina, la norvegese Equinor (ex Statoil), la londinese British Petroleum, la Talisman Energy-Repsol, l’argentina YPF e la “nostra” Eni.
Talvolta va addirittura “in scena” l’inferno, come è accaduto a Campo Maripe. “Le antiche e spettacolari formazioni rocciose di Neuquén, sono un sogno per i paleontologi, ricche come sono di fossili di dinosauro”, ha raccontato il giornalista Uki Goñi in un articolo dell’ottobre 2019 sul “Guardian”: “Ma l’immagine sta velocemente scomparendo alla vista, e così il suono del pozzo di fracking che è esploso il 14 settembre, bruciando continuamente per ventiquattro giorni e facendo zampillare gas incandescente e altri elementi, nell’aria, provenienti da una profondità di due miglia sotto la terra […]. «Le compagnie sono entrate nelle nostre terre senza il nostro permesso», dichiara un vecchio di Campo Maripe. «A pagare un prezzo molto alto per il fracking sono stati i nostri animali: abbiamo avuto capre nate senza mandibola e senza bocca»”.
In nome dei molteplici interessi dei grandi gruppi imprenditoriali stranieri e con la speranza di attrarne di nuovi per riequilibrare le finanze pubbliche (convincendoli a non rifugiarsi nel dollaro), Macri - presidente di una nazione ripiombata in una pesantissima crisi economica – insieme con il suo esecutivo stanno inoltre pensando di mettere mano ad una legge essenziale per l’ambiente argentino: la 26.639 del 2010, meglio conosciuta come “legge sui ghiacciai”, tentando di dribblare le critiche arrivate da accademici, avvocati e attivisti. Di recente due importanti compagnie minerarie, la Barrick Gold e la Minera Argentina Gold, mettendo in discussione la competenza dello Stato argentino sulle risorse naturali, sono riuscite a fermare nei tribunali l’applicazione di questa legge che proibisce l’esplorazione e lo sfruttamento minerario in ambienti glaciali: fortunatamente, però, nel giugno 2019 la Corte Suprema argentina ha emesso una sentenza di costituzionalità. Forse è superfluo precisare che tale sentenza è stata accolta malissimo dalla Camara de Servicios Mineros, per la quale «la norma paralizzerà lo sviluppo industriale, l’attività mineraria, la costruzione di valichi di frontiera e di centri sciistici e hotels».
Contemporaneamente all’annuncio di un piano per la forestazione e lo sviluppo dei boschi nativi che prevede «la creazione di 100 mila posti di lavoro» nel nordest del Paese, il Governo Macri ha lavorato per rendere ancora più appetibile agli stranieri l’attività estrattiva, unificando le regole minerarie vigenti in ogni provincia così da permettere alle compagnie di operare ovunque, anche dove l’attività è attualmente proibita. Sono molti i governi regionali delle provincie a maggiore presenza di miniere che continuano a ripetere ai loro cittadini che la grande estrazione rappresenta una “manna” per le comunità perché porta lavoro, denaro e investimenti; la realtà è però ben diversa e, come ha riferito alla ricercatrice Paula Serafini un insegnante di Andalgalà, città della Catamarca andina dove l’esplorazione di una sorgente ricca d’oro ha provocato la contaminazione di acqua e aria, “promettono strade asfaltate e nuove strutture, e poi finiscono per regalare qualche pallone”.¹³⁴
Anche i Benetton da svariati anni hanno fiutato il business minerario. La Compañia de Tierra Sud Argentino SA possiede infatti il 27,3% del capitale azionario di una potente corporazione privata con sede centrale a Toronto, la Minsud Resources Corporation: questa quota fa dei Benetton i maggiori azionisti del gruppo canadese che opera in Argentina attraverso la filiale Miniera Sud Argentina Sa¹³⁵. È curioso osservare che la company albiceleste è stata fondata nel maggio 2003, cioè due mesi dopo il referendum con cui l’85% dei cittadini di Esquel, spaventati dai pericoli per la salute e per l’ambiente provocati dall’inquinamento da cianuro, aveva bloccato la costruzione di una miniera a cielo aperto da cui la Meridian Gold era in procinto di estrarre l’oro. Contestualmente avevano anche respinto le garanzie del colosso di creare 1500 nuovi posti di lavoro. La loro resistenza collettiva era riuscita persino a strappare una nuova legislazione provinciale in materia di mega-giacimenti. Evidentemente poco o per nulla interessati alle istanze (e ai diritti) della popolazione, la Miniera dei Benetton continua a coltivare estesi progetti di sfruttamento in alcune provincie del Paese: 180 mila ettari di concessioni minerarie tra San Juan, Santa Cruz (i progetti di esplorazione, qui, sono piuttosto avanzati), Chubut, Neuquén e Rio Negro.
Quello minerario è un business recente ma così caro al gruppo che fa capo alla famiglia di Treviso da far scrivere al giornalista investigativo argentino Sebastian Hacher, nel 2004, su La Haine.org, che dietro lo sgombero della famiglia Mapuche Curiñanco - Nahuelquir c’era, molto probabilmente, l’oro.
Nella parte ovest della provincia di San Juan, Benetton è presente con l’ambizioso Proyecto Chita Valley, che conta un’estensione di 174 chilometri quadrati in cui estrarre rame, molibdeno, oro e argento dopo aver bene imbottito di dinamite la Cordillera; mentre nella meridionale provincia di Santa Cruz, Benetton è presente nelle miniere San Antonio, dove insieme all’oro ci sono manganese e mercurio, e La Rosita Project, un’area di 18 mila chilometri quadrati ubicata in una posizione strategica tra Cerro Vanguardia, dove é in attività l’impresa sudafricana Anglogold – Ashanti, e Pinguino Project, in cui lavora la Austral Gold.
Con Alberto Francisco Orcoyen¹³⁶, potente businessman argentino, seduto sulla poltrona di presidente, direttore e amministratore delegato; Mario Alfaro Cortes in quella di vicepresidente per la ricerca e Michael Johnston di direttore finanziario, la mega miniera dei Benetton si spartisce un territorio immenso, ricchissimo di oro, argento, diamanti e rame, con multinazionali del calibro di Barrick Gold Corp, Meridian Gold, Patagonia Gold, Minera Mincorp SA, Pacific Rim Mining.
Tuttavia il fatto di presentarsi come un soggetto di primo piano nel settore estrattivo – minerario globale significa anche, e soprattutto, condividere con queste compagnie la responsabilità dei danni che tale business – senza dubbio tra i più impattanti a livello ambientale e sociale – determina. Tutto ciò allontana completamente la sostanza dei Benetton “argentini” dalla forma che il Gruppo italiano si è cucito addosso in questi anni, da tutto ciò che ha “conferito senso e valore al marchio”, dalla loro “visione” – plasticamente illustrata nel sito web - “di un’azienda globalmente responsabile, dal punto di vista sociale, ambientale ed economico”.
Dopo aver consolidato la sua presenza imprenditoriale nel settore dell’agroalimentare ed in quello estrattivo – mine rario, il Gruppo Benetton ha puntato, come già in Italia ed Europa, alle autostrade a pedaggio.
La scalata sul colosso spagnolo Abertis da parte di Atlantia, il principale gruppo italiano nel settore delle infrastrutture autostradali ed aeroportuali che la famiglia Benetton controlla attraverso Edizione¹³⁷, è finalmente andata a buon fine dopo i tentativi poco soddisfacenti del 2006 e del 2010. A seguito del lancio, nel maggio 2017, di un’offerta pubblica d’acquisto (OPA), l’accordo firmato il 13 marzo dell’anno successivo con il gruppo Hochtief – Acs di Florentino Pérez per controllare il gruppo spagnolo¹³⁸, ha portato alla costituzione di una holding comune consolidata da Atlantia con il 50% più una azione¹³⁹. L’operazione ha creato un “organismo” leader a livello globale – una sorta di asso pigliatutto - nel settore delle autostrade a pagamento.
Quasi in contemporanea alle trattative che in Europa tenevano impegnati Benetton e Pérez, in Argentina il Governo Macri stava ridiscutendo i termini dei contratti di concessione, poi estesi fino al 2030. L’intervento dello Stato nella questione delle concessioni autostradali aveva già smantellato il congelamento dei pedaggi, “odiosa” eredità del kirchnerismo, e disposto l’aumento delle tariffe del 50% all’inizio del 2016 e quasi del 100% tra gennaio e febbraio del 2017.
L’appoggio dato dal Governo di Cambiemos alla legge che ha liberato le tariffe autostradali dal “giogo” imposto dai Kirchner e gli altri vantaggi offerti ai concessionari privati dai nuovi contratti, ha registrato nel suo cammino anche una sorta di pit stop nelle aule giudiziarie. A metà del 2016 la deputata del Frente Renovador, l’avvocato Margarita Stolbizer¹⁴⁰, ha denunciato Macri per conflitto di interessi e richiesto al giudice l’avvio di un’indagine in merito. Il focus della questione è stata la vendita della Sideco Americana S. A., società della famiglia Macri con una partecipazione azionaria del 7% in Autopistas del Sol, per 20 milioni di dollari a Natal Inversiones, altro azionista in Autopistas, solo dopo che gli aumenti dei pedaggi erano stati stabiliti dal Governo, e non prima, portando alldolfo Tailhade, riferendosi ad alcuni scandali per corruzione in cui è stato coinvolto negli ultimi anni l’ex presidente argentinoa famiglia Macri un consistente vantaggio economico – secondo la tesi di Stolbizer - , attestato sul 400% (o poco meno) rispetto al 2015, anno di insediamento del Governo¹⁴¹.
Ma anche se nel gennaio 2018 la causa è stata archiviata perché non vi sarebbe stato reato - nell’aumento del pedaggio da parte del Governo non ci sarebbe stata l’intenzione di favorire interessi particolari diversi e separati da quelli generali dell’amministrazione pubblica, la spiegazione – è chiara la posizione di favore che l’amministrazione statale guidata da Mauricio Macri ha tenuto nei confronti dei grossi gruppi imprenditoriali stranieri ai quali ha consentito, come già era accaduto negli anni Novanta quando a governare era Carlos Menem, di gestire e sfruttare gran parte delle ricchezze, anche infrastrutturali, del Paese. «Maurizio Macri. Mette lo stato al servizio della sua famiglia per fare affari multimilionari”, ha detto in una intervista radiofonica il deputato del Frente de Todos, Rodolfo Tailhade, riferendosi ad alcuni scandali per corruzione in cui è stato coinvolto negli ultimi anni l’ex presidente argentino

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