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ALLA FINE DEL MONTO CAPITOLO N° 14

Una perquisizione annunciata

«Il corpo è stato sistemato in quel punto e il ritrovamento è solo una messa in scena». Mabel Sanchez, referente della Asamblea Permanente por los Derechos Humanos di Esquel, e Fernando Jones Huala, fratello di Facundo, sono sconcertati. Entrambi erano nel rio Chubut nei momenti fatidici del recupero. «Il cadavere di Santiago era apparso fluttuando, con la pancia in giù […], era molto visibile», ha affermato Fernando, rammentando che due mesi prima erano stati proprio i sub della Prefettura ad assicurare di aver perlustrato ovunque ma di non aver trovato niente. «Se Santiago fosse annegato lo avremmo trovato», avevano concluso.
Sanchez, che ha assistito insieme a Julio Saquero anche a tutti i precedenti sopralluoghi – Saquero, inoltre, alle perizie sui furgoni della Squadra di El Bolson - , dopo il ritrovamento non se la sente di nascondere delusione e sofferenza. «Il cadavere galleggiava vicinissimo, in linea d’aria, alla casilla della comunità, in un luogo dove in questi mesi sono sempre passate molte persone», fa notare. «Il ritrovamento non è che una messa in scena».
Dal momento della scoperta, e per molte ore dopo, lei e Saquero hanno vigilato la salma in modo da evitare che qualcosa, qualsiasi cosa, venisse volutamente modificata in attesa dell’arrivo del perito. «Sì, è stata collocata lì, e pure male», le fa eco Fernando, «più in alto rispetto a dove Santiago dovrebbe essere stato colpito».
Mentre decine di consulenti sono alle prese con l’autopsia, la Prefectura Naval compila una relazione preliminare in cui spiega che il cadavere del ragazzo si trovava in una pozza profonda più di due metri e mezzo, in una zona particolarmente pericolosa del fiume e così ingombra di rami e di vegetazione da permettere solamente al sole di scalfirlo con qualche flebile raggio. Scrivono che Maldonado sarebbe affogato in quel punto, complice la quantità di indumenti che indossava per proteggersi dal freddo (31 chili), il panico, la velocità della corrente, la temperatura dell’acqua, secondo gli esperti tra i 4 e i 5 gradi.

Qualche giorno prima dell’ispezione, il 13 ottobre, “Pagina 12” esce con un articolo firmato da Adriana Meyer in cui viene descritto, ordinanza del giudice alla mano, ciò che sarebbe accaduto di lì a quattro giorni: il rastrellamento del fiume e, novità assoluta, la perlustrazione della estancia della Compañía del Tierras Sud Argentino S.A con il sequestro di tutto ciò che può costituire elemento di prova o di utilità alle indagini, anche con il successivo esame del Dna. Invece che dalla Gendarmeria – tenuta fuori dall’operazione, almeno ufficialmente, considerato l’alto “grado di tensione e violenza” ancora in atto contro i Mapuche – il giudice prevede di far eseguire il tutto dalla Prefectura Naval, senza l’ausilio di armi. Quattro giorni sono però tanti, talvolta troppi, e in questo arco di tempo può succedere qualsiasi cosa: anche che la scena del crimine venga modificata o che persone che avrebbero dovuto rimanere all’oscuro dei fatti vengano, appunto, informate.
Preoccupazioni poste in risalto in un altro articolo dello stesso quotidiano, scritto stavolta da Daniel Latur e pubblicato il 20 ottobre, dopo il sopralluogo decisivo. Il giornalista mette in fila tutte le incongruenze riscontrate nell’intervento di recupero, compresi i confusi momenti dell’individuazione del corpo e la mancata ricognizione della estancia dei Benetton. Perché non sono andati anche lì?
Gli esiti dell’autopsia eseguita a Esquel rivelano, quando ormai novembre¹¹⁸ sta sfumando, che il giovane attivista è morto a seguito di asfissia per sommersione in un quadro di ipotermia. Il corpo sarebbe rimasto in acqua dai cinquantatre ai settantatre giorni, secondo il range stabili to dagli esperti forensi, e non presenta ferite, colpi o segni di strangolamento. Come e dove sia morto non è stato tuttavia chiarito; i periti non hanno saputo dare una risposta, lasciando aperti molti dubbi che, forse, nemmeno i giudici¹¹⁹ vogliono o possono sciogliere. Il corpo è sempre rimasto lì o é stato spostato?, si interrogano i famigliari. È stato forse conservato da qualche parte, per esempio nel grande frigorifero ospitato nella estancia, come ha ipotizzato il giornalista del “Tiempo argentino” Ricardo Ragendorfer, prima di ricomparire in quel punto del fiume?

14. La battaglia dei Maldonado
Nel dicembre 2017 Sergio, la madre Maria Estella - l’ultima della famiglia a parlare con Santiago, il 27 luglio, al telefono - la moglie di Sergio, Andrea Antico, e Taty Almeida, una Madre de Plaza de Mayo – Linea Fundadora¹²⁰ volano in Italia per incontrare Papa Francesco nella sua residenza vaticana a Santa Marta, affacciata sulla Basilica di San Pietro. «Noi chiediamo giustizia. Il Papa è una persona informata dei fatti: mentre noi gli raccontavamo delle indagini, delle perizie, lui era a conoscenza di tante cose, si capisce che è informato» racconta Sergio ai giornalisti che lo intervistano dopo il toccante colloquio con Jorge Mario Bergoglio. L’incontro è il risultato di una lettera che il Pontefice aveva inviato mesi prima ai genitori di Santiago.
lotta pacifica che ha coinvolto migliaia di persone, un impegno per tutta la società argentina che si è vista catapultata indietro di quarant’anni, ai tempi bui della dittatura e dei desaparecidos», aggiunge più tardi Sergio, durante un incontro serale a Roma organizzato dalle associazioni Argentinos en Italia por la Memoria Verdad y Justicia, “Progetto Sur”, il Comitato italiano per la liberazione di Milagro Sala e l’agenzia di stampa internazionale “Pressenza”.
Poco prima di partire per l’Italia, la madre e il padre dello scomparso avevano scritto una commovente lettera in cui ringraziavano quanti avevano voluto star loro vicini nei lunghi e tragici mesi trascorsi senza il loro ragazzo.
A tutti i cittadini argentini e del mondo, dal più profondo del nostro dolore come genitori di Santiago, vogliamo ringraziare ogni parola di incoraggiamento, ogni lettera, ogni abbraccio e ogni lacrima che arriva ai nostri cuori. I nostri giorni, la nostra vita si è rotta, abbiamo solo il dolore profondo di aver perduto il nostro amato figlio. Ricordiamoci di Santiago ridendo, cantando, disegnando, tatuando, che poi é ciò che faceva a casa nostra; abbiamo presente i suoi viaggi, i suoi aneddoti divertiti, le sue interminabili telefonate nonostante la distanza, sempre presente, sempre spiritoso, sempre solidale. I giorni stanno passando e ci manca non poterlo chiamare e sentire la sua voce. Infinito é il dolore e infinito é il nostro ringraziamento a tutti.
Dopo il loro rientro in Argentina, e alla luce del ritrovamento del cadavere, anche il Comitato contro la Sparizione Forzata dell’ONU decide di chiudere la richiesta di “azione urgente” inviata al Governo nell’agosto 2017 per ritrovare il ragazzo: in quell’occasione il Comitato aveva raccomandato a Macri e ai suoi di mettere in campo tutte le forze necessarie per svolgere un’indagine esaustiva, imparziale e indipendente al fine di accertare la verità sulle circostanze della sua scomparsa, permettere la partecipazione della famiglia e dei suoi legali alle ricerche, proteggere i testimoni e, non ultimo, punire i responsabili.
“Peccato” che a gennaio il Governo decida, con una mossa a sorpresa, di premiare la Gendarmeria e in particolare di promuovere¹²¹ l’unico imputato del caso Maldonado: il sottoufficiale Emmanuel Echazù, presente all’operativo del 1 agosto e ferito, a suo dire, da una pietra lanciata da un Mapuche durante i tafferugli. La famiglia di Santiago, sconvolta, parla apertamente di una provocazione del Ministero e, vista la situazione giudiziaria del gendarme, chiede la revoca della risoluzione.
15. Un processo politico
Il 28 febbraio 2018, trascorsa ormai qualche settimana dall’ennesimo sgombero di polizia nella Lof terminato, questa volta, con il sequestro di tutti i cavalli appartenenti alla comunit๲², con il ricovero in ospedale di una lamien e con il timore, diffuso tra tutti, di diventare di nuovo il capro espiatorio per le “fosche” strategie del Ministero di Patricia Bullrich¹²³, a Bariloche si apre il processo per l’estradizione in Cile di Jones Huala. Il giovane lonko di Cushamen, rinchiuso nel carcere penale di Esquel dal 27 giugno 2017, risponde alle domande del giudice federale Gustavo Villanueva e, rivolto ai presenti, pronuncia queste parole. «Se vi rimane un po’ di umanità, dico alle forze di sicurezza di non continuare a reprimere dopo quello che è successo a Rafael Nahuel e a Santiago Maldonado. Lei», aggiunge, fissando senza timori il magistrato, «ha una responsabilità nella loro morte, non era necessaria quella violenza irrazionale. Perché non avete usato proiettili di gomma? Perché è più facile uccidere. L’assassinio di Santiago è un crimine di Stato, come lo fu quello del Mapuche Matías Catrileo e di tanti altri. Non ho paura dei proiettili, a undici anni conobbi una cella per essere povero e Mapuche, perché deturpavamo questa città», ha rammentato, sottolineando inoltre l’impunità di cui godono i loro assassini materiali e politici. «Dicono che siamo terroristi. Se siamo terroristi, dove sono i morti? I morti li mettiamo noi. Qui non c’è terrorismo, qui c’è un popolo esasperato che si difende con quello che può, con quell’arsenale che hanno mostrato quando hanno fatto scomparire Maldonado: pale, machete, motoseghe, utensili da lavoro, quello è il nostro arsenale. Se questo non è un processo politico, che è?».
Il giorno seguente la giornalista Adriana Meyer racconta come sono andate le cose in un accurato articolo pubblicato ancora su “Pagina12”:Nelle vicinanze della Palestra municipale 3 di Bariloche si trovano in un accampamento diverse organizzazioni delle comunità Mapuche della regione andina, sorvegliate dalla Gendarmeria, dalla Polizia di Sicurezza Aeroportuale e dalla Polizia Federale. All’udienza è entrata una delegazione Mapuche, Isabel Huala e la zia di Rafael Nahuel, il giovane assassinato alle spalle per mano della Prefettura Navale il 25 novembre a Villa Mascardi, vicino a Bariloche. Fino a Bariloche ha viaggiato la Madre de Plaza de Mayo - Linea Fundarora, Nora Cortiñas, la figlia di desaparecidos e membro del CeProDh¹²⁴, Alejandrina Barry, Margarita Cruz dell’Associazione di Ex Detenuti Scomparsi, Maria Elena Naddeo e Gisela Cardozo dell’Apdh¹²⁵, Graciela Rosenblum della Lega Argentina per i Diritti dell’Uomo e membri dell’Associazione degli Avvocati della regione. Per la pressione delle organizzazioni, il magistrato ha lasciato entrare tutti i giornalisti e l’udienza ha potuto essere trasmessa dalla Rete Nazionale dei Media Alternativi. La difesa di Jones Huala ha evidenziato una “chiara intenzionalità di persecuzione politica in questo processo, che cerca di giudicare e criminalizzare la lotta della comunità Mapuche Pu Lof en Resistencia di Cushamen”. […]. Jones Huala si è irritato menzionando quello che ha chiamato un esempio di colonialismo nella testa di alcune persone. «Il pubblico ministero Silvina Ávila mi ha detto: “Sono tehuelche, noi c’eravamo prima di voi”, invece di dire siamo fratelli» , ha asserito il lonko […]. Con un poncho e la sua fascia in testa, ha accusato il giudice federale Guido Otranto per la scomparsa di Santiago Maldonado ha ribadito una realtà che in molti non vogliono vedere. «Abbiamo bisogno della terra, noi stiamo morendo di fame, viene una nevicata o una siccità, immaginatevi se i ricchi si lamentano, noi molto di più con le nostre capre magre. Se non è stata una montatura dei servizi di intelligence, il caso Pisu Pisue è stato un recupero di quelle terre, ai peñi hanno bruciato i telefoni e i danneggiati sono stati risarciti. Attaccate pure, [...], la storia ci assolverà».
Meno di due settimane dopo il giudice Villanueva comunica la decisione di accogliere la richiesta di estradizione. Immediatamente si scatenano le proteste della comunità mentre il chiacchierato segretario dei Diritti umani della nazione, Claudio Avruj¹²⁶, commenta soddisfatto sul “Clarìn”: “Questa sentenza ha alla base una decisione giudiziaria indipendente che conferma il carattere repubblicano del nostro sistema di Governo”.
Prima di partecipare a una grande mobilitazione convocata per il pomeriggio stesso a Buenos Aires, la combattiva Madre Nora Cortinas, spende due parole proprio sulla contestata sentenza, che considera una vera e propria figuraccia del Governo: «Ciò che viene imputato a Facundo non é provato, lui non era lì il giorno in cui il fatto é stato commesso. Credo che il Governo argentino, inoltre, voglia approfittare di questo per favorire famiglie come quella dei Benetton, che possiedono le nostre terre ma di cui non si sono appropriati da soli bensì sono state a loro date. È una infamia così grande che sembra quasi di trovarsi nell’epoca dei Roca per le persecuzioni alle comunità aborigene. Non speravo che la sentenza fosse un’altra, si sapeva che era condizionata, questo era implicito. Andiamo allora a ricorrere alla Corte Suprema de Justicia».
Ed è quanto fanno i legali di Jones Huala. Lasciata Bariloche, presentano un ricorso straordinario alla massima autorità giudiziaria argentina per richiedere la scarcerazione del loro assistito, segnalando ai cinque giudici la mancata applicazione, nella sentenza, del diritto specifico per i membri delle comunità indigene e tribali così come previsto dal Convenio 169. A luglio i giudici gli concedono gli arresti domiciliari a casa della nonna, Trinidad Huala, ma gli negano apertamente la scarcerazione; l’11 settembre, con modalità “degne” di un boss del narcotraffico, viene prelevato dalla prigione argentina di Esquel e condotto, in elicottero, in Cile, dove, il giorno seguente, il Tribunale penale di Valdivia lo condanna a nove anni di carcere. «Tutto questo è accaduto dopo che la Commissione per i Diritti Umani dell’ONU aveva chiesto al Governo argentino di sospendere il processo di estradizione con l’apertura di una indagine a seguito della denuncia del suo legale, Sonia Ivanoff, per violazione dei diritti civili e politici del leader politico e spirituale della Pu Lof en Resistencia di Cushamen», hanno denunciato pochi giorni dopo i militanti da tutto il mondo di “Voices in movement”.
“L’attuale persecuzione che sta subendo la causa Mapuche è in continuità con il Plan Condor delle dittature civico-militari del Cono Sur”, è quanto hanno scritto nel 2019 quelli del Colectivo Voces Ecològicas di Panamà su “Radio Temblor”: “Gli stati argentino e cileno impongono il loro ordinamento illegale e illegittimo sul Lonko; non ci sono prove evidenti che giustifichino il fatto che egli sia stata privato della libertà in Cile; lo Stato argentino non rispetta la Costituzione del 1994 e la Convenzione 169 della OIT”.

CONTINUA LUNEDI'......

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