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ALLAFINE DEL MONDO CAPITOLO N° 13

Dov’è Santiago?

Quando i gendarmi finalmente se ne vanno, e tutti fanno ritorno alla Lof, del giovane Santiago Maldonado non c’è traccia. «Lo hanno portato nella estancia», è il timore che prende via via piede tra i membri della comunità. Una delle sue portavoci, Soraya Maicoño¹⁰⁴, racconta successivamente al mensile “Revista Citrica” che il primo agosto, proprio quando la Gendarmeria stava attaccando i Mapuche, nella zona si erano visti girare anche furgoncini dei Benetton. «Dal punto sopra la Ruta 40 dove [le forze di sicurezza] mi hanno tenuta per sei ore, insieme con altre due persone, ho visto passare più volte il capo di Gabinetto del Ministero della Sicurezza, Pablo Noceti, e ho visto circolare anche due furgoncini della estancia Leleque. Andavano al vicino commissariato di Polizia, poi tornavano indietro, si recavano nella Pu Lof en Resistencia e via così: anche loro davano ordini, erano al corrente di quello che stava succedendo. Li avevamo visti anche lo scorso 10 gennaio», ha proseguito Maicoño, «quando Ronald Mac Donald, l’amministratore generale delle estancias di Benetton, aveva prestato un camion de la Compañia de Tierras Sud Argentino [alla Gendarmeria e alla Policia Provincial] per portare via i cavalli che ci avevano appena sequestrato. In questo modo abbiamo potuto vedere che anche loro erano parte dell’operativo [...]. Alle 2 del pomeriggio era apparso Noceti in un furgoncino che aveva i lampeggianti azzurri sul tettuccio», e quando è sceso, è andato a stringere la mano a ciascuno dei militari.
La vocera della comunità e le altre due persone, trattenute in quel luogo sopra la Ruta 40 senza un preciso motivo e senza sapere quando avrebbero potuto tornare nei rispettivi alloggi, sono riuscite a dare l’allarme grazie a un camionista passato di là. «É stato lui a portare questo messaggio a Esquel: sono Soraya, ci tengono detenute, non sappiamo che succederà a noi ma sappiamo che cosa sta succedendo alla Pu Lof».
Più o meno negli stessi giorni un giornalista di “Fm del Lago”, Ricardo Alejandro Bustos, risponde su Facebook alla Red de Apoyo a Comunidades en Conflicto, che in un post reclamava la ricomparsa di Santiago: “La Gendarmeria nazionale ha proceduto ad identificarlo. Ora é a disposizione della giustizia del Chubut la quale dovrà decidere se dichiararsi competente nel caso”. A Buenos Aires, intanto, Macri “usa” Santiago per commentare il risultato delle consultazioni primarie del 14 agosto dopo il testa a testa tra il candidato del suo partito e l’ex presidenta peronista Cristina Kirchner: «Non solo è scomparso Santiago Maldonado ma sono scomparsi anche 450 mila voti nella provincia di Buenos Aires».

Alla sparizione del ragazzo con le rastas seguono intensi mesi di polemiche, di incendiarie dichiarazioni della facoltosa ministra ex montonera Patricia Bullrich e di noti consulenti del Governo in favore della Gendarmeria(105) e contro i Maldonado e i Mapuche. Menzogne sulla sorte del tatuatore arrivano anche da altri importanti politici argentini: è fuggito; è nascosto in Cile e lì è morto; è il responsabile di un precedente attacco a un lavoratore della terra di Benetton insieme con la Resistencia Ancestral Mapuche; non era nella Lof il giorno dell’irruzione. La famiglia di Santiago e la comunità ancestrale insediata nella estancia sono sottoposte a intercettazioni e spionaggi illegali. Molti anche i depistaggi da parte della giustizia federale e fin troppe segnalazioni, tutte inattendibili, circa la presenza del giovane in varie zone dell’Argentina.
I Maldonado e la Wally’s tea di Sergio sono oggetto di insulti, di insinuazioni e di aggressioni quotidiane sul web a opera di trolls legati al Governo¹⁰⁶. La famiglia e due associazioni per i diritti umani presentano all’autorità giudiziaria argentina altrettante richieste di habeas corpus (successivamente la classificazione del fascicolo viene modificata in scomparsa forzosa, nda), mentre il magistrato Guido Sebastian Otranto¹⁰⁷ dopo aver parlato diffusamente del lavoro investigativo in corso ed incautamente espresso il proprio parere sulla vicenda in una intervista su “La Nacion”, viene escluso dalle indagini e sostituito con il collega Guillermo Gustavo Lleral.
Sono mesi, questi, in cui le forze di sicurezza argentina non ripongono le armi ma continuano a sparare e uccidono Rafael Nahuel, un giovane Mapuche appartenente ad una comunità che ha occupato un territorio nei pressi di Bariloche. Non cessano le loro violente irruzioni nella Lof a Cushamen e le perlustrazioni nel vicino fiume Chubut alla ricerca di prove, anche con l’ausilio di unità cinofile specializzate e di droni
Qualcuno viene sentito dal giudice e l’ex presidente della Repubblica Kirchner accusa Macri¹⁰⁸ di non riuscire a risolvere un caso ormai chiaro per tutti. La società civile, le associazioni e gli organismi per i diritti umani come le Madres e le Abuelas de Plaza de Mayo, il Premio Nobel Perez Esquivel, Global Witness, i musicisti Manu Chao¹⁰⁹ e Bono Vox, e poi politici, sindacati, studenti, insegnanti, artisti e intellettuali scendono in piazza con la famiglia di Santiago per chiedere la sua reaparicion con vida e le dimissioni della ministra Bullrich. La prima manifestazione si tiene il primo settembre a Buenos Aires, in una Plaza de Mayo gremita e combattiva.
«Vogliamo una inchiesta seria e imparziale in cui vengano indagati tutti i Gendarmi che hanno partecipato all’azione» , auspica Sergio dal palco mentre le mille persone riunite in piazza gridano «Assassini, assassini». Moltissimi di loro portano sulla propria pelle, profonde e indelebili, le cicatrici delle ferite inferte dai governi militari a partire dal 1976, nel loro assurdo e crudele Processo di “purificazione” del Paese dal “virus” comunista.
Quel primo giorno di settembre anche il vescovo della Diocesi di Merlo-Moreno, a una sessantina di chilometri da Veinticinco de Mayo e a quaranta dalla Capitale, si mobilita per la riapparizione del ragazzo, dedicandogli una Messa e invitando tutti i fedeli alla preghiera. Non ci vuole molto perché la protesta, partita dall’estremo sud del continente americano, approdi negli Stati Uniti, in Messico, in Europa e anche in Italia, sotto forma di ni pubbliche, marce, appelli internazionali e denunce nei confronti di coloro che sono ritenuti i responsabili della criminalizzazione dei Mapuche e dell’uso della repressione come metodo di “risoluzione” dei conflitti sociali. I nomi che vengono pronunciati sono quelli di Mauricio Macri, Pablo Noceti, Patricia Bullrich, del “guerrafondaio” Gonzalo Canè¹¹⁰, della deputata Elisa Carriò. E pure dei Benetton.
Anche la Lega argentina per i Diritti dell’Uomo presenta una denuncia penale contro alcuni di questi politici, accusati di aver coperto la verità su Santiago. E se i governanti, in un modo o nell’altro, si difendono¹¹¹, i Benetton, com’è loro abitudine, tacciono.
Asserragliati nei lussuosi fortini in provincia di Treviso tengono le labbra cucite sulla vicenda, non rispondono a chi, come il cileno Reynaldo Mariqueo, segretario della Enlace Mapuche International di Bristol, lo accusa di violare accordi internazionali insieme con il Governo argentino. «Il Governo argentino sta vendendo il territorio ancestrale del popolo Mapuche sebbene questa terra sia protetta da trattati internazionali e, così come l’occupazione del suo territorio da parte argentina era illegale, così la sua vendita è illegale», ci ha spiegato. «Io credo che coloro che oggi si appropriano di questi territori in Patagonia, come Benetton o Lewis, lo sappiano¹¹²».
Loro guardano altrove, preferendo concentrarsi sui loro tanti business, agevolati dai governi e dal silenzio dei media italiani. D’altronde quella di non replicare alle accuse che vengono loro mosse – giuste o sbagliate che siano - dai giornalisti come dalla società civile, è da sempre uno dei loro più riconoscibili “marchi di fabbrica”.
Proprio nei giorni della sparizione del brujo, il carismatico Luciano, “pietra angolare” con la sorella Giuliana dell’impero che porta il loro cognome, ex senatore repubblicano negli anni di Tangentopoli, fondatore di Fabrica Circus¹¹³ e meticoloso collezionista d’arte, restituisce alla “sua città”, o meglio, alla città di un altro celebre Benetton, Toni, e di Giovanni Comisso, Arturo Martini, di Gino Rossi e Cino Boccazzi, la chiesa di San Teonisto, da lui acquistata, fatta ristrutturare e poi donata alla potente Fondazione di cui è presidente.

Un cadavere che parla

Il 17 ottobre, a quasi ottanta giorni dalla sparizione e a cinque dalle elezioni legislative per il Congresso della Nazione¹¹⁴, un cadavere affiora dal fiume Chubut, a un metro circa da dove il ragazzo con le rastas è stato visto vivo per l’ultima volta. A scoprirlo sono i sommozzatori della Prefectura Naval, coinvolti nell’ennesimo sopralluogo ordinato dal nuovo giudice, Gustavo Lleral, per scovare prove utili alle indagini. Con i sub sono impegnati anche moltissimi agenti del Geof e della Polizia di sicurezza aeroportuaria, gli esperti dell’Unità scientifica della Polizia federale, e poi l’equipe argentina di Antropología Forense (EAAF), i cani abili nelle ricerche in acqua e, inoltre, i periti di parte. La zona è controllata dall’alto, palmo a palmo, da elicotteri e droni. Non ci vuole molto ingegno per capire che quella salma impigliata tra i rami degli alberi che popolano il fiume appartiene a Santiago. È molto strano, commentano quelli della Pu Lof en Resistencia, che dopo tre sopralluoghi venga scoperto solo adesso il cadavere. «É un posto in cui noi passiamo tutti i giorni e prima d’oggi lì non c’era niente», dicono con grande convinzione, «secondo noi è stato sistemato lì di recente».
La loro voce nemmeno stavolta viene ascoltata. Fin dalla prima perlustrazione ordinata da Otranto¹¹⁵ nella Lof e nel vicino fiume, avevano infatti ripetuto che Santiago non poteva essere annegato perché lui, quel corso d’acqua, non lo aveva mai attraversato. Ci aveva provato ma lo avevano visto tornare indietro, ne erano certi.
Facendosi coraggio, alcuni Mapuche, tra cui Matias Santana, il 19enne Lucas Pilquiman con cui Santi aveva raggiunto il fiume, la compagna del lonko, Andrea Millañanco e Ariel Garzi¹¹⁶ - un amico di El Bolson - avevano descritto gli ultimi momenti di Santiago sia agli organismi per i diritti umani che al giudice federale, ricevendo, come risposta, una denuncia per “falsa testimonianza” dal Ministero di Bullrich.
Anche secondo gli specialisti della Prefectura naval, “attori” in tutte e tre¹¹⁷ le ricognizioni che hanno preceduto senza esito quella risolutiva del 17 ottobre, il giovane non poteva essere morto annegato, considerata la relativa profondità del fiume e la generosa presenza di rami che, a loro dire, avrebbe dovuto mantenerlo a galla, o comunque bloccato.
Se nella precedente ispezione Guido Otranto aveva fermamente e ingiustificatamente impedito a Sergio Maldonado di accedere all’area sottoposta al check, sollevando in tal modo i timori e i dubbi della famiglia e dei suoi legali sulla regolarità delle procedure, questa volta Sergio è lì a vegliare e a custodire il cadavere ritrovato, nella dolorosa attesa del perito. Che arriva diverse ore più tardi.
Dopo pochi giorni Santiago smette di essere un desaparecido: quel corpo mangiucchiato dai pesci è il suo. Il fratello maggiore lo riconosce dai tatuaggi.

CONTINUA DOMANI.....








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